Foto ® Claudia Gori per Oltre Tevere

Geometria Elementare

Loc. Le Balze, Verghereto (FC)
05 Settembre 2020

1ª Tappa Oltre Tevere:
Le Balze – Valsavignone, 21 Km

“La libertà d’un popolo è compagna all’acqua che viè giù da la montagna”

Trilussa

 

Un fiume può essere tante cose. La didattica da sussidiario, in genere, restringe di molto le opzioni narrative. Invalicabile barriera naturale, ma in primis fonte di vita, risorse e commerci per genti assennate di ogni dove. Per fondare città. Sicumera tranchant forse, che le sfumature sono per le persone curiose, si sa.

Per chi nutre dubbi e non ansia.

Evidente come i due aspetti siano lampanti, coesistono e si compenetrano, ma come sempre si fa cruciale il punto di osservazione. Il punto preciso nello spazio, l’altezza, l’ampiezza di ripresa con la quale si decide di osservare una porzione di mondo. E se si voglia mettere davanti agli occhi o meno, qualche tipo di filtro, che sia semantico o di concetto. Cosa inquadrare e come, per raccontare cosa.

Un fiume nelle mappe è innanzitutto un segno grafico, una riga serpeggiante che unisce punti sparsi, tracciato su argilla, pergamena, carta, ben prima delle sonde spaziali, del me-mapping e dell‘egogeografia.

Geometria essenziale, distante ancora anni luce dall’idea di linea retta e dei novanta gradi celebrati da Le Corbusier come punto massimo di arrivo dell’intelletto umano. E in esplicito conflitto.

Se ne batte le balle di un'estetica di ordine, risponde solo a sé stesso e alle molteplici istanze del territorio, sopra e sotto la superficie demaniale.

Autoreferenziale, ed autoconcluso.

Intrinsecamente libertario e funzionale per sé stesso, che poco ha a che fare con l’uomo, con i suoi appetiti di guadagno o di difesa, che poi finiscono per essere sempre due facce della stessa medaglia. Lo si cuce facendolo diventare una ferita, lembi slabbrati tenuti insieme da punti/ponti di sutura lungo il suo tragitto, e non un’entità viva, mobile, simbolo di trasformazione.

L’esondazione è il modo in cui ricorda di non esagerare. Di tenere a bada le manie psicotiche di controllo, con la smania di guadagno a spese delle risorse offertogli dalla natura che vanno curate, preservate.

E il passo è breve. Un fiume si presta al gioco del confine. Suo malgrado e da sempre.

Lo si investe di valenza geopolitica, per comodità, per furberia. Campo di battaglia per diatribe territoriali, cadaveri a faccia in giù portati in braccio dalla corrente sui quali celebrare un’appartenenza.

Appartenenza culturale o etnica che in due anse si fanno identità nazionale, fin quando qualcuno non decide di resuscitare la sacralità degli antichi, quando l’umanità sapeva ancora immaginare e la fantasia era uno strumento lecito di interpretazione del creato, e un dio fiume non faceva più scandalo di un dio bosco. Di un dio fulmine.

Questo penso guardando la sorgente del Tevere. Località Le Balze, comune di Verghereto.

Mussolini, padre indiscusso -e a suo modo visionario- della retorica da teatrino di cartapesta voluta per il proprio regime, spostò i confini regionali per includere le sorgenti del Tevere nel territorio della sua provincia natale, Predappio, Forlì. Anno 1923, il primo del nuovo corso. 

Il fiume sacro per gli antichi romani non poteva che prendere abbrivio sul sacro suolo del fondatore del nuovo impero. Non fa una piega.

E la sorgente al posto di sgorgare fra le rocce è incatenata fra stele in pietra e scritte altisonanti. Lupi minacciosi e aquile fanatiche.

Il nuovo amico Enrico (sindaco gentile che ci offre l’ospitalità del comune per la prima notte dell’avventura Oltre Tevere), mi fa notare come in realtà il Tevere non nasca da un punto solo. – Si parla di “vene” del Tevere infatti – mi dice.

Tanti rigagnoli sbucano qui e là prima di essere imbrigliati nella scenografia imperiale, a favore di telecamera. Buon simbolo, spunto emblematico di quello che in realtà è un fiume. Di cosa dovrebbe rappresentare. Creatura libera dalla nascita. Restio alla boria, avulso alla tracotanza.

La faggeta è linda, Enrico ci saluta nella luce maculata delle foglie.

Con Claudia e Andrea iniziamo la lenta discesa verso Roma.

 

Estratto dal diario di bordo di Pietro Vertamy © aroundthewalk per Oltre Tevere

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